Visione in essere.
Giuliano Dal Molin
Tradimenti della materia,
serpiginose variazioni
cromatiche, incontri
di polverose essenze.
Si satura la superficie, al
risveglio dopo il lungo
sonno classico,
in un movimento di vitrea
auto schermatura,
di difesa monocromatica,
di innocente polvere.
se ne stanno quasi in
disparte, lì addossate alle pareti,
a sedurre
il biancore virginale,
vestite di solo colore, come veneri che s’arrotolano
all’anima, in un vano atto
di sostegno all’instabilità
della percezione.
E’ stanza d’assoluti
monocromi cinta da colonne
che altro non sono che mirabili
intenti di sostanza coperti da una
seducente maschera,
trampolino per l’ex-stasi
reliquia delle origini, ma
fors’anche giudizi estetici.
Ci si trova
in una sorta di silente
valle dei templi dove il magico
gioco dell’arte diventa
sedimentazione d’universali
e il rumore della logorrea
schifa dei dialettici à la page solo
ricordo manifestazione poetica
di una categoria
dell’essere non identificata,
rappresentazione drammatica
dell’esistenza, mimesi
di un luogo altro,
al di là si pongono,
oltre la caduca possibilità
di colore
al di là del quotidiano
perire della luce
oltre dove l’idea
si traduce in visione….
inaspettata possibilità
d’assoluto.
Racchiuso nella ricerca della
materia, in un lungo processo,
le cui fasi rimangono incerte e
oscure, Giuliano Dal Molin,
scopre e rivela il senso sacro
della vita e della morte e come
un poeta greco, lascia trasparire
nell’immobile cinetismo che
permea i suoi lavori, i segni dei
tempi eroici quando si combatteva
contro l’arguzia dell’eternità